Si potrebbe dire che si ha progresso quando la condizione dell’uomo diviene più felice. La condizione dell’uomo è più felice quando egli si avvicina a quella condizione di vita con cui è venuto al mondo. La libertà. È un bisogno primario, l’uomo nasce senza catene e trascorre la propria esistenza cercando di guadagnare costantemente pezzetti di libertà, quella libertà con cui è nato ma a cui, in parte, ha dovuto rinunciare inserendosi nella vita di comunità con gli altri uomini. La libertà non è assenza di regole, non è anarchia, non è egoismo. L’immagine più efficace è rappresentata dalla cosiddetta etica della reciprocità (o regola d’oro): 

Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te

La portata di queste parole è stata fin troppo sottovalutata dalle persone. Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te. Grandioso. Pensateci un attimo. Il concetto è tutto qui ed è stato pensato, detto e scritto centinaia di volte e molti millenni or sono. È stato il pensiero di Talete e di Isocrate, è un precetto del Cristianesimo, dell’Ebraismo e dell’Islam. Estendiamolo analogicamente: Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te e consenti agli altri ciò che vorresti fosse consentito a te. Basta, finito, no more bet. È enorme nella sua semplicità. Ecco perché non condivido la classica distinzione tra riformisti e conservatori. Il termine riformista è inadeguato, non connota alcuna peculiarità specifica. Tutti fanno le riforme, è il contenuto che ne determina la qualificazione. Una riforma può portare indietro di 50 anni oppure può lasciare inalterato lo status quo cambiando semplicemente procedure, regole, requisiti. Una riforma può, invece, proiettarci in avanti. Può fare progresso. Chi decide se la portata di una riforma è progressista? Se ciò che è stato detto poc’anzi risponde al vero dobbiamo concludere che una riforma è progressista se rende gli uomini un po’ più liberi del giorno prima. Lo scenario politico italiano non conosce (o non conosce più) la distinzione tra progressisti e conservatori. Non li troviamo ai due angoli dello schieramento a combattersi. No. Progressisti e conservatori sono “mischiati”, sono presenti in percentuali assai simili in tutti gli schieramenti. E questo è uno dei motivi del caos, degli indecisi alle urne, delle lotte intestine, delle leggi che vengono scritte in aramaico antico in modo tale da lasciare ampio spazio a interpretazioni opposte e accontentare un po’ tutti. Ma questa è un’altra storia. Tornando ai conservatori, quello che mi ha sempre stupito di loro è la paura che hanno verso un diritto che possa essere esercitato da altri. Se il thema decidendum è ampliare la libertà di qualcuno senza impoverire la loro, ebbene, loro… lo contestano. Si oppongono, con tutte le loro forze. Temono che la terra gli si apra sotto i piedi e le fauci di Lucifero li attendano spalancate. In quale modo il matrimonio tra due individui dello stesso sesso possa pregiudicare la loro vita non è chiaro. Io rispetto il loro modo di vivere, infatti non voglio imporre loro niente. Ma loro non rispettano il mio e vogliono imporre regole e divieti. Io, che omosessuale non sono, proprio non capisco perché dovrei impedire a due persone dello stesso sesso di contrarre matrimonio. A pro di cosa? Di salvaguardare la società? Hanno forse paura che l’omosessualità possa diffondersi per via aerea e portare l’umana specie ad estinzione? I conservatori hanno indole autoritaria, poco coraggio e una mente ingolfata dal pregiudizio. Dio ce ne scansi. 

Osama Bin Laden è morto nel raid dei Navy Seals americani nella notte tra domenica 1 Maggio e lunedì 2 Maggio ad Abbottabad, in Pakistan. Ne da conferma anche Al Qaeda attraverso internet. La morte del criminale più ricercato al mondo ha da subito riportato al centro dell’attenzione il tema terrorismo. Negli Stati Uniti il pensiero che va per la maggiore è quello che con la morte di Bin Laden si è chiusa un’era, si è messa una pietra sopra gli accadimenti dell’11 Settembre, l’America ha avuto la sua vendetta. Appena la notizia si è diffusa l’entusiasmo ha dato vita a grandi festeggiamenti lungo tutti gli States, le persone si sono radunate nelle piazze a festeggiare e brindare al grido di “USA USA”. L’altra faccia della medaglia è che l’allarme terrorismo è cresciuto nuovamente, si teme la sete di vendetta di Al Qaeda, si temono atti dimostrativi d’impatto. Qualcuno prova a teorizzare un indebolimento dell’organizzazione terroristica dovuto appunto alla perdita del capo spirituale, del leader indiscusso. In verità è opportuno sottolineare come Al Qaeda non sia un’organizzazione a struttura piramidale bensì a struttura ramificata sui territori, una sorta di franchising, tipo Mc Donald’s. Ogni cellula nasce e si sviluppa in maniera autonoma e indipendente rispetto alle altre. Ecco perchè la morte di Osama Bin Laden è certamente un colpo inferto al terrorismo ma è un colpo più che altro morale, psicologico più che strutturale. Ad avviso di chi scrive non può dirsi che oggi il mondo sia più sicuro rispetto a un mese fa. E questo lo sanno bene tutti gli Stati del mondo, compresi gli USA che di fatti hanno anche loro intensificato le misure di sicurezza anti-terrorismo. E quindi? Tutti i festeggiamenti, i brindisi, i cori… A che pro? Solo e semplicemente per il decesso di Bin Laden con cui gli americani avevano un conto in sospeso. Nessuno osi attaccare gli Stati Uniti e pensare di restare vivo, l’America non perde mai. La mentalità della super nazione, del sorriso beffardo dopo la vittoria, del “te l’avevo detto che avremmo vinto noi” a cui ormai siamo abituati. Migliaia di persone in piazza che festeggiano la morte di un uomo, un uomo che probabilmente poteva essere più utile da vivo, prigioniero… ma ormai è morto e giustizia è stata fatta. O no!?

Perché non vai mai in chiesa? Ma non credi? Come mai? Dovresti parlare con un parroco che conosco, ti potrebbe essere utile!

Non credo in alcuna religione ma credo in Dio o, perchè no, negli Dei.

Entità superiore/i all’origine del mondo, i perchè mi sfuggono, i fini anche.

Dopo morti sapremo o forse non sapremo mai niente.

Condivido i princìpi cristiani di fratellanza, amore e solidarietà.

Altro non so.

Ora scusate, devo andare.

Quando parliamo di crisi della politica ci riferiamo quasi sempre alle vicende di casa nostra, alle vicende italiane. A mio parere assistiamo in questi anni a una crisi della politica da leggere su di un duplice livello, una crisi europea e mondiale da un lato e una crisi nostrana dall’altro. Negli ambienti delle “sinistre” si osserva con crescente preoccupazione l’avanzare delle “destre” ai governi di tanti paesi così come l’aumento dei consensi per i partiti xenofobi e neofascisti che erano ormai da parecchi anni ai minimi termini e che invece conoscono, in questi ultimi 10 anni, molti più consensi elettorali. Si possono citare Francia,  Germania e tanti altri paesi. Tra i tanti, mi soffermerei su due aspetti, l’11 Settembre e le difficoltà di proposta. Il caro Bin Laden ha fatto veramente centro, l’11 Settembre 2001 ha cambiato il mondo. Ha insinuato nelle persone paura, timore, fragilità e consapevolezza. Consapevolezza di essere vulnerabili. La paura è uno dei più grandi deterrenti che esistano ed è un terreno dove hanno gioco facile i partiti di estrema destra che cavalcano sentimenti di paura e odio verso l’ignoto, verso “lo straniero”. Il secondo aspetto, di sostanza, è il nodo intorno al quale ruota la crisi della politica europea e più in particolare la crisi della “sinistra”. Non è intenzione di chi scrive ripercorrere la storia del capitalismo, della globalizzazione e dei meccanismi che hanno portato alla loro nascita e alla loro affermazione. Partiamo dalla fine, la loro affermazione. Il capitalismo e la globalizzazione hanno vinto, hanno nettamente vinto la partita sulle grandi scelte economiche, sulle grandi scelte dei mezzi di produzione. Il nostro mondo ha deciso di darsi questo tipo di assetto. Capitalismo e globalizzazione hanno portato con se molti benefici ma hanno portato anche molte storture. Si parla di capitalismo imperfetto, di globalizzazione selvaggia e senza regole. Grandi ingiustizie, crisi economiche sono sotto gli occhi di tutti. Ed è qui che esplode la  crisi della “sinistra”. La “sinistra” europea e mondiale, dinanzi alla situazione appena delineata, non riesce a farsi promotrice di un’alternativa. E’ su questo campo che si gioca la partita, sul campo economico. La “sinistra” non riesce a dare alla gente l’alternativa di un mondo migliore, non ha idee, è confusa, vivacchia sulle contraddizioni del mondo e sulle proprie contraddizioni interne. Non sa bene se lavorare sulla falsariga attuale e correggere qualcosa o cambiare totalmente registro. Non sa bene se allontanare i comunisti o accoglierli nel suo seno. Non sa. E quando le persone vedono qualcuno che non sa scelgono di conseguenza l’altro. Le “destre” invece sanno. Sanno che sposano il sistema attuale, sanno che dopo l’11 Settembre la gente vuole sicurezza. Sanno che il loro pragmatismo contrapposto alle speculazioni quasi filosofiche degli altri li porterà a vincere. Sanno che il conservatorismo, il protezionismo e l’organizzazione vincono con facilità contro l’aleatorio, il confuso e il disorganizzato. Una destra conservatrice ma decisa contro una sinistra senza idee ha gioco facile. Passiamo ora agli affari di casa nostra. In Italia la situazione è ancora peggiore. Peggiore perchè tutto è in mano a pochi, peggiore perchè paradossalmente la “sinistra” italiana è più conservatrice della “destra”. Sembra strano a dirsi ma è proprio così. Berlusconi ormai ne combina di tutti i colori ed è sin troppo facile sottolinearne i difetti e i limiti. Proviamo però a mettere da parte il merito e a guardare soltanto il metodo e l’approccio. Berlusconi certamente non può essere definito un conservatore. Ha completamente stravolto il modo di vivere del paese, tanto la politica quanto la televisione, lo spettacolo e quant’altro. Probabilmente lo ha cambiato in peggio ma ripeto, prescindiamo per un momento dal giudizio di merito. Sono passati quasi 20 anni dall’arrivo di Berlusconi e lui ha certamente cambiato l’Italia. Guardiamo ora la sinistra. Non solo nelle occasioni di governo che ha avuto è riuscita a produrre pochissimo ma anche dagli scarni dell’opposizione, compito assai più agevole rispetto al governare, nulla dice, nulla propone. A ben pensarci, Berlusconi è intervenuto sul lavoro, sulla scuola e in questi giorni è in ballo la riforma della giustizia. Tutte riforme probabilmente limitate, dannose o anche retrograde. Ma la sinistra cosa dice al suo elettorato? Oltre al disappunto verso Berlusconi, alzi la mano chi è in grado di spiegare la riforma della giustizia che vorrebbe la sinistra. O quella della scuola. O quella del lavoro. A parte i proclami del tipo “basta con il precariato” “questo è un attacco alla magistratura” “viva la scuola pubblica”…. cosa ci propone la sinistra? Il silenzio più totale… Lo scenario che abbiamo davanti è purtroppo questo, un centro-destra cattivo riformista e una sinistra conservatrice! Concludo. «Sinistra» e «destra» sono due categorie ottocentesche che vengono riprese, spesso  in modo strumentale, per cercare di conquistare un blocco di elettori piuttosto che proporsi e legittimarsi con idee, alternative e capacità di governo che sono la cifra del riformismo progressista. Appare ormai superata questa distinzione “formale” e ci si orienta più sulla efficace distinzione tra  progressismo e conservatorismo. E qui emerge in tutta la sua inevitabilità la crisi politica tutta italiana con conservatori diffusi un po’ in tutti gli schieramenti e progressistiche sgomitano per farsi spazio in altrettanti schieramenti. In questo scenario si giunge inevitabilmente alla personalizzazione della politica, all’individuazione cioè, da parte dell’elettore, della persona, del singolo. Un sentimento molto diffuso degli italiani è ormai quello del “sono tutti uguali”. PDL e PD sono due facce della stessa medaglia. Si cerca quindi il politico, il candidato che “personalmente” ispira più fiducia. E può trovarsi tanto a “destra” quanto a “sinistra”. In una politica con poche idee e fondata sulla persona, Berlusconi… non può che vincere!

Treves - Rino de Martino

La libreria internazionale Treves è la libreria più antica di Napoli. Centro culturale della città per tutto il ‘900 ha vissuto, negli ultimi anni, periodi burrascosi con le istituzioni. Ho intervistato il titolare della libreria Gennaro de Martino detto Rino per avere qualche notizia in più dato che, anche su internet, c’è un generale disinteresse sulla storia e sulla sorte di questa famosa libreria. Ci siamo incontrati all’interno della libreria, a Piazza del Plebiscito. Mi ha accolto con molta gentilezza e disponibilità, ci siamo seduti intorno a un tavolino e questo è quello che mi ha raccontato:

Ci racconti un po’ la storia della libreria

La libreria Treves aprì a Napoli nel 1894 ed era una delle “filiali” dei fratelli Treves editori dal 1861. Nel 1939, a causa delle leggi razziali che impedivano ai cittadini di religione ebraica l’esercizio di attività industriali, la casa editrice dovette cessare l’attività e fu rilevata dall’industriale romagnolo Aldo Garzanti, che la trasformò nella propria casa editrice (Garzanti). Con il passare del tempo le librerie conobbero una forte crisi a causa dell’economia sempre più incentrata su prodotti su larga scala e in generale su prodotti diversi e più “globalizzati”. La maggior parte quindi chiuse i battenti oppure si trasformò in qualcos’altro. L’unica che rimase in vita fu la libreria internazionale Treves di Napoli. La libreria è stata per tanto tempo al centro della vita culturale partenopea, ha ospitato personaggi del calibro di Croce, D’Annunzio, dal Presidente Napolitano e tanti altri. Poi nel 1994 mio fratello, assieme a due soci, ha rilevato la libreria e nel 2000 sono arrivato io.

E proprio nel periodo immediatamente successivo al suo arrivo sono iniziati problemi che hanno poi portato la libreria nel 2006 al  trasferimento dalla storica sede di via Toledo a quella attuale di Piazza del Plebiscito…

Già, proprio così. Appena sono arrivato mi sono trovato ad affrontare un grosso problema. Scoprimmo che il vecchio gestore aveva già ricevuto lo sfratto per finita locazione. Ricorremmo al Tar avvalendoci del vincolo storico del Ministero per i beni culturali e ambientali. Lì vincemmo poi però il Consiglio di Stato si pronunciò a favore della proprietà sancendo che la libreria Treves non aveva i requisiti richiesti per il vincolo. A quel punto… restava poco da fare. Ci sono state commoventi manifestazioni di solidarietà da parte della società civile, di moltissimi intellettuali, artisti, politici di ogni schieramento. Il Comune ci venne incontro dicendo che la libreria Treves poteva diventare il punto di riferimento di un Polo della cultura proponendoci il trasferimento nel luogo più caratteristico della città e probabilmente una delle piazze più belle del mondo, Piazza del Plebiscito. Ci promisero inoltre che l’intera area sarebbe stata riqualificata.

E infatti il 2 febbraio 2007 in un’intervista su Chiaia Magazine Lei disse che il Comune di Napoli le aveva promesso che i locali sotto il porticato sarebbero stati fittati per consentire l’apertura di un Caffè Letterario, un Ristorante dell’Arte, negozi di artigianato… e invece?

E invece non è avvenuto niente di tutto ciò. I locali sotto il porticato sono di proprietà del F.E.C. (Fondo Edifici di Culto ndr) e quindi del Ministero dell’Interno il quale li diede in locazione al Comune di Napoli nel 1999 con lo scopo di riqualificare la zona con attività culturali e commerciali. Attraverso un bando il Comune avrebbe poi dovuto concedere o sub-affittare i locali ad attività di questo genere. E invece non è andata così, sono stati fatti due bandi che sono stati praticamente disertati per motivo poco chiari. Fino ad oggi il Comune di Napoli, e quindi i napoletani, ha pagato “inutilmente” il fitto al Ministero dell’Interno per una cifra che secondo me si aggira intorno a un milione di euro.

Peraltro la Piazza andrebbe riqualificata nel suo complesso e non solo con l’apertura di nuove attività…

Assolutamente si. Piazza del Plebiscitò è abbandonata a se stessa. Intonaco che cade, la sera non c’è illuminazione, bande di teppisti girano con i loro motorini, imbrattano muri e monumenti, il porticato diventa una sorta di orinatoio per senzatetto e vandali di ogni risma.

Poco tempo fa è stato accoltellato un ragazzino di 13 anni…

Appunto. Nessun controllo, dopo le 8 di sera questa zona diventa terra di nessuno. Più volte l’Assessore alla Cultura Oddati ha fatto pubblici annunci dove prometteva la riqualificazione della zona ma appena si spegnevano i riflettori dei media tutto cadeva nel dimenticatoio.

Oggi la libreria Treves è di nuovo sulle cronache di tutti i giornali. Il Comune ha chiesto circa 140.000 euro per il fitto dei locali ponendo la libreria in una situazione di grande difficoltà. Cos’è successo esattamente?

A Gennaio di quest’anno abbiamo ricevuta una lettera dalla Romeo Gestioni, società che gestisce gli immobili del Comune di Napoli.  In questa lettera ci veniva chiesto un incontro per stipulare un contratto con validità antecedente la data odierna cioè un contratto che avrebbe avuto effetto dal giugno del 2006 fino a giugno 2012. E mi chiedevano inoltre di pagare l’equivalente di quello che loro pagavano al Ministero dell’Interno cioè 140.000 euro circa.

Com’è andata a finire?

Ho chieso un incontro con l’Assessore al Demanio, Marcello D’Aponte. All’appuntamento l’assessore non venne ma riuscii a parlare con un funzionario che mi disse che non c’erano soluzioni, dovevamo pagare. Ho fatto notare che mi era stato detto che avremmo parlato di fitto solo dopo la partenza del progetto di riqualificazione della piazza e che inoltre mi stavano chiedendo di pagare un fitto per il quale nessuno mi aveva mai chiesto di firmare un contratto. Era tutto basato sulla parola e sulla stretta di mano tra me e le istituzioni locali. A quanto pare quella parola data non aveva valore. Addirittura l’assessore ha rilasciato un’intervista a Il Mattino dove ci ha definiti “morosi”. Ora dovrò nuovamente ricorrere alla magistratura e mi spingerò oltre, chiederò a mia volta i danni morali e materiali. Peraltro, dato che in tutti questi anni il Comune non è riuscito nell’intento, dall’anno prossimo i locali torneranno alla gestione del Ministero dell’Interno quindi avrò un nuovo interlocutore.

Ci può fare un paragone tra la vita della libreria in Piazza del Plebiscito e quella in via Toledo?

Come affluenza, visibilità e incassi… uno a mille. Come posizione invece certamente oggi siamo in una cornice splendida ed è un peccato che sia così abbandonata. Peraltro se partisse davvero il progetto di riqualificazione sono sicuro che anche affluenza, visibilità e incassi tornerebbero quelli di un tempo.

 C’è una manifestazione o un evento che lei ricorda con particolare affetto?

Quando ho organizzato il trasferimento da via Toledo a Piazza del Plebiscito. Si formò una catena umana dove ogni persona aveva un libro in mano e lo trasportava sin dentro la nuova sede. Poi abbiamo organizzato molti eventi, uno più bello dell’altro. Ad esempio da 5 anni organizziamo l’evento “Una Piazza per la Poesia” senza pari in Italia. Altra attività molto bella e coinvolgente  è quella degli incontri con i paesi campani “virtuosi”, paesi senza camorra, che praticano la raccolta differenziata, che hanno un tasso di vivibilità invidiabile. Invitai qui in piazza il paese di Prata Sannita. Vennero qui con gli stand, portarono i loro prodotti tipici, la loro cultura. Venne anche il loro Sindaco il quale mi invitò a sua volta, assieme ad altri 50 napoletani, a visitare il loro paese. Fummo loro ospiti, le donne del paese cucinarono nelle loro case e ci portarono da mangiare in un mulino ristrutturato. La libreria Treves ha inoltre istituito un premio, “Un parco per la poesia” che coinvolge tutto il parco del Matese. Le idee ci sono e la volontà anche, speriamo solo che le istituzioni non remino contro.

A proposito di istituzioni, a breve ci saranno le elezioni amministrative. Chiunque vincerà, lei cosa chiede o cosa si aspetta dal nuovo sindaco di Napoli?

Innanzitutto voglio sottolineare l’ennesima figuraccia di un certo schieramento verificatasi con le primarie. Ho assistito personalmente ai brogli, ho visto cinesi che andavano a votare e persone che pagavano “gli elettori” per farli votare 3 o 4 volte per un certo candidato…. E ho denunciato tutto ciò. E poi qual è stato l’esito delle primarie? Non si sa, sono state letteralmente insabbiate. Anche per questo motivo ho preso le distanze da questo schieramento e mi sono candidato in prima persona in una lista civica che appoggia De Magistris. Ad ogni modo… chiunque vincerà… il nuovo Sindaco si troverà in una situazione difficilissima e la priorità dovrà essere il territorio sia dal punto di vista sociale che di strutture. E poi servono severità e controllo, non si può abbandonare la città a se stessa. Accanto a queste difficoltà però la nuova amministrazione si troverà nella condizione di ricevere ingenti somme per il centro storico, il forum delle culture, Bagnolifutura ecc. Sarà una buona occasione per ripartire… e perchè non ripartire proprio da questa piazza?

E’ stato chiarissimo. La ringrazio per il tempo che ci ha concesso e in bocca al lupo

E’ stato un piacere, crepi il lupo!

Spesso la genialità dell’arte sta nella sua semplicità. La capacità dell’artista di esprimere un concetto, un’emozione, un’idea con una frase, un’immagine, una strofa. E’ un dono di pochi e questo dono viene regalato a tutta l’umanità nella sua irraggiungibile bellezza. Non basterebbe una vita intera per provare a spiegare ciò che Ungaretti ha rappresentato con quattro parole, ciò che si nasconde dietro il pennello di Leonardo quando dipinge il quadro più famoso del mondo, ciò che trasmette Michelangelo con il suo Giudizio Universale piuttosto che con La Creazione di Adamo. Tale beltà trova anche nella musica il suo poeta, l’artista che le rende omaggio con la sua genialità. Il più grande musicista jazz che la storia ha conosciuto, Louis Armstrong, ha regalato al mondo un “semplice capolavoro” fatto di dolcissime note che accompagnano una poesia che omaggia la divina bellezza del mondo. What A Wonderful World è un vero e proprio inno alla bellezza e alla semplicità.

Questa sera voglio parlare di un capolavoro tutto italiano. Ne parlerò da ingenuo osservatore che esterna le proprie sensazioni dinanzi al “bello”. Non sono un esperto di arte anzi ammetto questa mia lacuna. Dicevo che voglio parlare di un capolavoro italiano. Il Bacio di Hayez. Quest’immagine la si ritrova un po’ ovunque, in televisione, sui giornali, sulle copertine dei libri. E’ un’immagine che ha sempre trasmesso un sentimento di grande coinvolgimento, passione, romanticismo e di “antico”. Ingenuamente chiesi cosa fosse questa tela e mi venne risposto “Come sarebbe? E’ Il Bacio di Hayez, è famosissimo!”. Rosso in volto e con la coda tra le gambe andai a documentarmi. E scoprii che oltre alla sua empirica bellezza, la tela presentava anche significati storici e politici di grande importanza. Il Bacio è un olio su tela realizzato da Francesco Hayez nel 1859 su ordine di Alfonso Maria Visconti. Di questo dipinto esistono quattro versioni. La prima, quella del 1859, si trova nella Pinacoteca dell’Accademia di Brera a Milano. Il colore verdognolo del cappello assieme al bianco delle maniche della ragazza, al rosso della calzamaglia e all’azzurro del vestito richiamano il tricolore italiano e la bandiera francese a suggello dell’amicizia tra Italia e Francia contro l’Austria stipulata attraverso gli accordi di Plombierès nel 1858. Una seconda versione è molto simile alla prima ma più piccola e si trova in una collezione privata. Una terza versione, appartenente anche questa a una collezione privata, evidenzia cromaticamente ancora meglio il momento storico dell’accordo italo-francese evidenziando con un verde più acceso la parte esterna del mantello e inserendo un velo di colore bianco disteso sui gradini. La quarta versione fu realizzata nel 1861 per la famiglia Mylius ed è stata venduta all’asta il 12 novembre 2008 da Sotheby’s a Londra. Qui scompaiono i riferimenti francesi e il dipinto assume i toni dell’omaggio all’Unità d’Italia con il vestito della ragazza che diventa bianco.

Questo è Il Bacio di Hayez, tra amore, storia e politica. In una sola parola: Passione.


Qualsiasi prodotto commerciale autorizzato porta con se un’etichetta. L’etichetta serve al consumatore per prendere conoscenza di alcuni dati che vanno dal produttore ai materiali utilizzati piuttosto che agli ingredienti in caso di prodotti alimentari. Per moltissime persone il dato più importante, quello che più incide sull’utente, è certamente quello del produttore. Qualora ci trovassimo nella condizione di non sapere questo dato ci sentiremmo spaesati. “Carino questo jeans, dove lo hai comprato?” “Bello questo computer, che marca è?” o ancora “Buona questa mozzarella, dove l’hai presa?”. Queste domande richiamano l’esigenza del consumatore di avere un punto di riferimento in campi di cui ovviamente sa poco o niente. Il marchio di qualità, il marchio di cui la gente si fida. Leggere o avere notizia di un’etichetta consente alle persone di dare un primo giudizio sulla cosa in questione. Potremmo definirlo un pre-giudizio per l’appunto. In questi casi quindi il marchio da all’utente una possibilità di formulare un giudizio basato su canoni più vicini e comprensibili come può essere appunto quello del produttore di qualità. Tutt’altro discorso è invece l’etichetta che si sente il bisogno di affibbiare a qualcuno quando si discute di società, di politica, del vivere comune nel suo complesso. Si presuppone che chi si avventuri in discorsi attinenti queste tematiche abbia le conoscenze adeguate per affrontare un dibattito oppure, quando queste conoscenze non ci sono, si affronta “l’avventura” del tema politico per informarsi, per chiarire, per “curiosare”. La domanda che mi pongo è: in entrambi questi casi… ha importanza l’orientamento politico dell’interlocutore? Se si discute di energia nucleare, di scuola, di giustizia… si ascolta, si confronta l’opinione altrui con la propria ed eventualmente si critica, si approva, si integra, si sostituisce. Dovrebbe essere un dibattito tra due persone che parlano di un argomento e confrontano le proprie conoscenze e le proprie opinioni. Perché una delle prime domande che si rivolgono è sempre “Scusa, ma tu per chi voti?”. Spesso ho assistito da spettatore a dibattiti simili e puntualmente appariva questa domanda. Il nesso tra l’etichetta dei prodotti commerciali e quella delle persone sta appunto nella conoscenza e nell’argomentazione. Nel primo caso si presuppone la necessaria ignoranza delle persone su temi estremamente specifici, ignoranza che nessuno nasconde proprio perché necessariamente inevitabile e incolpevole. Nel secondo caso si vuole nascondere la “colpevole” ignoranza ed utilizzare l’etichetta a scopi puramente difensivi. Dietro l’etichetta “umana” si nasconde la poca lucidità e la poco conoscenza di quello di cui si sta parlando. Ecco che in questi casi il marchio di appartenenza da dare a una persona diventa un mero strumento di anti-conversazione. Da quel momento in poi chi ha risposto ingenuamente a quella domanda è condannato a rispondere non più sull’argomento in sé ma sulle accuse di faziosità del suo interlocutore che ormai, avendo ben chiaro il comportamento di quella persona al seggio elettorale, potrà facilmente predisporre la propria mente a respingere tutto ciò che verrà detto perché il discorso si è inesorabilmente incanalato sui binari dello scontro a prescindere, dello scontro da talk show televisivo. E nulla potranno dire i nostri due eroi che non sia visto e interpretato con sospetto e diffidenza. “Certamente tenterà di tirare acqua al suo mulino”. Questo sostanzialmente è il pensiero di fondo della conversazione. Parlare e confrontarsi sui contenuti è certamente più difficoltoso, soprattutto quando, e accade spesso, si ha soltanto una vaga idea di quello di cui si sta parlando. Molto più facile assegnare un’etichetta e procedere spediti su questa “scorciatoia”. Dimmi chi voti e ti dirò chi sei.

Cardinal Bagnasco

Voto ciò che dice il mio vescovo 

Queste le parole di un senatore. Si parlava di aborto se ricordo bene. Ho scelto questa frase perché è caratterizzante. E’ una frase che proviene dalla politica, da un rappresentante dei cittadini. Chiaramente se fosse una linea di condotta seguita da un singolo parlamentare non ci sarebbe da allarmarsi. Purtroppo il fenomeno è alquanto esteso. Il potere della Chiesa si estende in ogni direzione, avvolge ogni cosa e influenza tutti noi, volenti o nolenti. La Chiesa Cattolica esercita un potere millenario e ai giorni nostri esercita un potere molto forte proprio sull’Italia e sugli italiani in quanto altri popoli hanno avuto la capacità di separarsi “politicamente” e la fortuna di circostanze favorevoli. Fortuna perché il Vaticano non risiede in casa loro ma lo abbiamo qui in Italia. Sia chiaro che ciò che scrivo riguarda l’aspetto più “bieco” della Chiesa Cattolica e sono assolutamente esclusi aspetti mistici, opere di carità, missioni umanitarie e valori che appartengono meritoriamente alla cattolicesimo e alla Chiesa e su cui non ho il diritto a dir nulla. La fede è l’aspetto più intimo dell’uomo e riguarda lui soltanto, nessun giudizio è ammissibile. Detto questo… torniamo a noi. Non esiste scuola di persuasione o di retorica che possa far meglio. E’ un potere subdolo, che sotto il ricatto di un giudizio morale, costringe la mente delle persone entro schemi prefissati senza scampo. Tutti noi, anche quelli che si professano atei, siamo cresciuti in un mondo influenzato dal cattolicesimo e la nostra crescita e la nostra formazione ha certamente risentito di ciò anche se in forma inconsapevole. Sesso e ricerca scientifica sono i capisaldi sui quali questa istituzione religiosa esercita grande influenza di questi tempi. E mi limito ai temi sociali perché in verità vi sarebbe molto altro da dire su economia, interessi e privilegi vari. Sesso e Scienza. “Il demonio” del sesso che la Chiesa ostacola in tutti i modi possibili, inculcando fantomatiche regole di castità, inducendo i ragazzini a non praticare l’autoerotismo… si rischia di perdere la vista! Inducendo le persone a non utilizzare mezzi di protezione che salvaguardano non solo la coppia in questione da una progenie non voluta ma soprattutto dal rischio di pericolose e mortali malattie. Ma loro dicono di no, disperdere il proprio seme è peccato. E il sesso si fa solo quando c’è amore. Le case chiuse. I “bordelli” erano e sono uno strumento di grande civiltà. Si tolgono le prostitute dalla strada, si evita che subiscano violenze da clienti e papponi, si garantiscono igiene e sicurezza per entrambi i soggetti dello “scambio” di sesso per danaro. Le casse dello Stato sarebbero rimpinguate dalle tasse che le prostitute pagherebbero. Ma non si può fare, il dito puntato del Papa incombe su tutti noi. La ricerca sulle staminali ha un iter simile. Basta sostituire la parola “sesso” con la parola “vita” di cui la Chiesa pretende di essere custode e interprete. Ma non dinanzi a Dio, dinanzi allo Stato.  Il problema nasce proprio qui. Finquando queste “eresie” si innestano su di un piano “didattico” Chiesa-Credenti non c’è nulla da dire. Chi aderisce, chi non aderisce. Chi acconsente, chi non acconsente. Amici come prima. Ma quando la Chiesa diventa protagonista assoluta delle scelte politiche di uno Stato… qualcosa non va. E purtroppo questo potere ipnotico, come ho detto prima, è tanto esteso quanto subdolo. La nostra società brulica di paladini della Chiesa, è un processo quasi inarrestabile. Un potere è davvero immenso e forte quando le sue stesse vittime lo amano e lo difendono. La cara vecchia sindrome di Stoccolma. La laicità è una conquista importante della nostra epoca e dobbiamo lottare fino in fondo per conservarla e preservarla. Anzi direi anche per “migliorarla”. Ognuno di noi faccia i conti con la ragione e la logica. La fede rimanga appannaggio del privato e non intervenga in scivolata nel pubblico. A ognuno il suo compito, la Chiesa non è chiamata a dirigere una nazione.

Amen

Scuola

Questa sera voglio parlare di un professore. Insegnava Storia e Filosofia al Liceo Classico Umberto I di Napoli. A dir la verità di Storia e Filosofia insegnava ben poco. I programmi di studio non li ha mai rispettati. Era di media statura, curvo, sguardo serio e vispo al contempo. Era formale nei suoi rapporti sociali. Indossava jeans e maglioni. Pronunciava alcune lettere in modo a dir poco strambo. Della Storia e della Filosofia non spiegava tanto i contenuti ma l’essenza. Ogni lezione in classe era un confronto. La vita di tutti i giorni, gli avvenimenti più significativi, il vivere civile, la coscienza e l’onestà erano le sue materie di insegnamento. Un articolo di giornale, l’opinione di uno studente, una riflessione. Erano tutti spunti per la lezione del giorno. A fine giornata si intratteneva volentieri con gli studenti interessati a terminare il dibattito di giornata. Insegnava ciò che nessun altro faceva, insegnava a crescere, insegnava ad essere “cittadini”, insegnava ad essere Uomini e Donne. Era un mio professore. L’anno degli esami, l’ultimo anno di studi.. ci ha lasciato. Ci venne a trovare un’ultima volta. Aveva lo sguardo sofferente e l’espressione di chi avrebbe tanto da dire. Ci disse che avrebbe fatto di tutto per essere presente agli esami se a noi avesse fatto piacere. Poi aggiunse, come se una premonizione di fine anticipata lo avesse colto, che si rammaricava di aver avuto con noi un rapporto sin troppo formale. Ci disse che gli mancavamo umanamente in un modo che neanche lui stesso immaginava prima. Ci diede un arrivederci che sapeva di addio. Giunsero gli esami. Li superammo. A sessione conclusa ci venne detto che il nostro professore non era più tra noi. Annullammo i festeggiamenti. Ancora oggi penso molto alle sue parole, ai suoi insegnamenti. Se dovessi dire quali sono le cose che nella mia vita hanno contribuito a formarmi come persona direi certamente che il Professor Gerardo Marcone occupa uno dei primi posti. A distanza di qualche anno scrivo questa nota per dirgli ciò che non ho avuto la possibilità di dirgli di persona.

Grazie